Dott. Francesco Agati: La casa bene primario; occorrono case popolari e trasformare l’affitto concordato in ordinario per tutti i comuni italiani
Inflazione, caro bollette, calo del potere d’acquisto dei salari, interessi altissimi, perdita del lavoro, e mancanza di alloggi a prezzo accessibile, sono questi gli ingredienti dell’emergenza abitativa che si sta verificando oggi in Italia.
Negli ultimi anni, trovare un’abitazione in affitto è sempre più difficile: la domanda cresce mentre l’offerta fatica a tenere il passo, anche a causa dell’aumento degli affitti turistici e della finanziarizzazione del mercato immobiliare. I prezzi sono sempre più alti, spesso non giustificati dallo stato degli immobili.
Nel frattempo, nel nostro paese manca ancora un piano casa strutturato, con politiche in grado di rispondere alle necessità delle persone e ai problemi dei centri storici.
Nel 2023, il governo ha deciso di non rifinanziare il contributo all’affitto né il fondo per la morosità incolpevole, gli unici ammortizzatori sociali che erano rimasti nel settore delle locazioni per tamponare l’emergenza abitativa. Il contributo all’affitto era stato introdotto nel 1998 dalla legge 431, con l’obiettivo di permettere a un’ampia fascia di popolazione di accedere alla casa attraverso una integrazione al canone di locazione: per capire man mano quale fosse la somma necessaria da stanziare, il governo avrebbe dovuto istituire un Osservatorio pubblico presso il Ministero.
Anche per questo, gli stanziamenti per il contributo all’affitto sono stati sempre discontinui e non legati alle reali necessità delle famiglie, ma piuttosto alle esigenze di spesa dei governi. Di anno in anno, si è assistito a una progressiva riduzione della somma erogata: dai 362 milioni di euro del 2000 si è passati ai 9 milioni del 2011, fino ad arrivare a un azzeramento completo nel 2012. Dal 2020, sulla spinta della crisi pandemica, il contributo all’affitto era tornato a livelli elevati, e nel 2022 si era arrivati a 300 milioni di euro: una cifra cospicua, anche se non sufficiente a soddisfare le necessità delle Regioni, che avevano chiesto 500 milioni. Per l’anno 2023, invece, il contributo all’affitto non è stato rifinanziato, così come il Fondo morosità incolpevole, istituito dal decreto legge 102/2013 per sostenere le famiglie che hanno un’ingiunzione di sfratto per morosità, dopo aver smesso di pagare l’affitto a causa della perdita o della consistente riduzione del reddito familiare.
Oggi il patrimonio italiano conta circa 760mila alloggi di edilizia residenziale pubblica. Sono i dati della Federazione italiana per le case popolari e l’edilizia sociale (Federcasa): molti di questi però sono in vendita, anche se mancano i numeri esatti, non essendoci un Osservatorio che monitora la situazione delle case popolari sul territorio nazionale. Per Federcasa, però, servirebbero almeno 300mila alloggi in più. “In Italia servono più case popolari e una nuova idea di edilizia residenziale pubblica”, afferma il presidente di Federcasa, Luca Talluri. “Al tempo stesso occorre investire risorse importanti sul piano periferie, per consentire una riqualificazione vera delle aree ad alta densità abitativa, in termine di vita di quartiere e di qualità dell’abitare, elementi che contraddistinguono la nostra quotidianità.
Dall’inizio del Novecento, lo Stato italiano ha direttamente finanziato la costruzione di alloggi pubblici: si è cominciato nel 1903 con la legge Luzzati, che ha istituito l’Istituto case popolari (ICP). Nel dopoguerra il piano INA-Casa (o piano Fanfani) ha dato avvio alla realizzazione di alloggi in nuovi quartieri, offrendo la possibilità a migliaia di famiglie di migliorare le proprie condizioni abitative. Nel 1962 la legge 167 ha introdotto i PEEP (Piani per l’edilizia economica e popolare), e l’anno successivo è nata la Gescal (acronimo di Gestione case per i lavoratori), un fondo destinato alla costruzione e assegnazione di case, subentrato al piano INA-Casa.
Negli anni Novanta si apre invece la stagione delle dismissioni degli alloggi popolari, con l’obiettivo di far entrare liquidità nelle casse dello stato e risanare così il debito pubblico: nel 1993 la legge 560 prevede piani di vendita fino al 75% del patrimonio abitativo pubblico. Nel 2014 la legge 80 (nota anche come Piano casa Renzi – Lupi) stabilisce un nuovo piano di dismissioni destinato a operare ad ampio raggio, anche in deroga alla legge del 1993. L’interesse si sposta gradualmente dall’ERP (edilizia residenziale pubblica) all’ERS (edilizia residenziale sociale o social housing): il ruolo dell’attore pubblico diventa quello di promuovere interventi “socialmente orientati” da parte di attori privati, attraverso incentivi e detrazioni fiscali; contemporaneamente, i privati sono sempre più coinvolti nella definizione delle politiche abitative.
Parallelamente, il processo di finanziarizzazione del mercato immobiliare ha trasformato la casa in un asset finanziario come tanti altri, rendendola oggetto di compravendita in borsa come altri tipi di merce. Il pericolo è che in questi processi, dove i grandi investitori hanno grandi expertise e grandi fondi, il pubblico non assuma il ruolo di guida e gli attori finanziari abbiano un impatto molto forte sulla governance del territorio, che potrebbe perdere di vista il bene comune”, ha spiegato l’esperta di mercato immobiliare, governance e politiche di sviluppo del territorio Veronica Conte, ricercatrice della Research Foundation Flanders in Belgio, a Irpi media.
Bisogna che intervenga lo Stato per realizzare case popolari, riscattabili, e fare gestire le stesse professionalmente a soggetti terzi; inoltre bisogna emanare un decreto dove tutti i comuni italiani possono beneficiare dell’affitto concordato, oggi solo i comuni ad alta densità abitativa possono concedere questo beneficio contrattuale ai residenti.Dott. Francesco Agati: La casa bene primario; occorrono case popolari e trasformare l’affitto concordato in ordinario per tutti i comuni italiani.
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Dott. Francesco Agati Consulente Immobiliare
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