Emigrazione e futuro del Sud

In questi giorni si sta facendo un gran parlare del concorso per spazzini o meglio operatori ecologici per i politicamente corretti, che si è svolto a Napoli.

Nei social impazzano battute ed immagini con il chiaro intento denigratorio verso i lavoratori che hanno partecipato a questo concorso, in special modo evidenziando la presenza di un notevole gruppo di laureati che pur di rimanere nella loro terra sono disponibili ad accettare lavori dequalificanti rispetto ai loro titoli.

Anche i grandi giornalisti dei quotidiani nazionali nordisti, hanno tessuto innumerevoli analisi storico/sociologiche contro i lavoratori meridionali che non vogliono andare a lavorare al nord accettando lavori secondo le loro menti “imprenditoriali” squalificanti pur di rimanere “ancorati” nella loro terra,

Queste analisi, che giornalmente vengono snocciolate in ogni contesto mediatico, hanno il dichiarato obiettivo di tessere lodi di chi emigra verso il nord abbandonando la sua terra e di denigrare chi invece “osa pretendere” di poter vivere e lavorare nella sua terra.

Come organizzazione sindacale il Sinalp difende la scelta difficile e probabilmente in controtendenza di questi lavoratori che hanno preferito rimanere nella loro terra anche accettando un lavoro se si può dire “non consono”.

È facile notare l’astio razzista dei giornaloni del nord che hanno gonfiato il fatto che esistono ancora esseri umani che non vogliono trasferirsi nell’Eden nordista, ad ingrassare il sistema imprenditoriale e sociale del nord, trasformandoli, assieme ai tantissimi immigrati, negli schiavi del nuovo millennio.

Il Sinalp plaude invece al coraggio dimostrato da queste persone che con grande dignità hanno deciso di rimanere nella loro terra, arricchendola di nuovi nuclei familiari, nuovi cittadini, che con il loro lavoro daranno un nuovo impulso all’economia ed al sistema sociale del loro territorio e non certamente del “probo e capace nord”.

Come sindacato riteniamo che finalmente è caduta la maschera del buonismo misto al perbenismo che dall’unità d’Italia ci portiamo dietro, e che vede la continua contrapposizione del buon nord che accoglie a braccia aperte i suoi fratelli del sud, contro un sud terra di violenza, ingratitudine e di sfaticati.

Con questa accezione i vari Governi, che fin dall’unità d’Italia si sono susseguiti nel tempo, hanno sempre puntato all’industrializzazione del nord a scapito del sud.

Industrializzazione che è stata possibile solo grazie alla forte emigrazione delle genti del sud verso il nord, creando forza lavoro a basso prezzo e facilmente ricattabile perché di fatto in terra “straniera”.

Ricordiamoci sempre che nel passato interi paesi dell’entroterra siciliano si erano quasi completamente spopolati per la selvaggia emigrazione causata dalla mancanza di lavoro e non dal non voler lavorare.

Basta analizzare, senza le bende ideologiche imposte dai vincitori, le dinamiche di sviluppo e di investimenti realizzati in 150 anni di storia unitaria per rendersi conto che la Questione Meridionale è nata, si è sviluppata ed è stata voluta con pervicacia consapevolezza, dai vari Governi che si sono succeduti nel tempo.

Anche i famosi grandi investimenti della Cassa del Mezzogiorno che dovevano dotare il Sud di infrastrutture, sono stati gestiti dal nord con le loro imprese che si aggiudicavano appalti su appalti. Appalti chiaramente commisurati alle caratteristiche tecnologiche e professionali delle aziende del nord, drenando enormi flussi di denaro sempre verso quel nord che è cresciuto e si è sviluppato sulla pelle e sul sudore della gente del sud.

Da anni il Sinalp chiede che si dia il via agli investimenti nel sud per creare un nuovo sistema imprenditoriale, economico e sociale equiparato a quello del nord.

In tal modo, dalla loro unione, nascerà finalmente una Nazione veramente unita, forte e competitiva nell’assetto geopolitico mondiale.

La consapevolezza dei giovani meridionali di voler rimanere nella loro terra, crescere nella loro terra e crearsi un futuro nella loro terra, non va inquadrata come un fattore negativo ma come presa di coscienza di un nuovo approccio allo sviluppo economico e sociale del territorio. Basta emigrazione e sfruttamento.