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Tu sarai sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedec

17 Ottobre 2017
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Gela 17 Ottobre 2017 - Ho conosciuto don Grazio Alabiso meno di due anni fa quando, sorridente e grintoso, mi aprì la porta della sua canonica. Fu simpatia a prima vista.

Devo dire che ero abbastanza trepidante sull’esito di tale incontro, perché mi avevano detto di lui cose bellissime, ma mi avevano anche avvertito del fatto che la sua personalità era talmente travolgente da suscitare negli interlocutori sorpresa e sentimenti contrastanti. Mi avevano avvertito: “Don Grazio o lo si ama o lo si odia”. Rimasi quindi gradevolmente sorpresa di essere accolta con calorosa allegria e con aperta spontaneità. Fu come se ci fossimo conosciuti da sempre e da quel momento cominciai a volergli bene. In verità, già compulsando gli innumerevoli documenti che mi erano stati portati per dar vita alla sua biografia, mi ero resa conto che si trattava di un uomo e di un sacerdote non comune che era riuscito nei suoi più che cinquant’anni di sacerdozio ad inserirsi con prepotenza e fattività nella storia della sua Gela, di cui era divenuto uno dei principali protagonisti. Mi avevano impressionato le sue battaglie contro la mafia, quando ancora la Chiesa si rifiutava ostinatamente di affrontare l’argomento., ancor prima del Cardinale Pappalardo e contemporaneamente al Beato don Pino Puglisi a cui lo accomunava lo straordinario coraggio. Don Grazio non aveva paura delle sue opinioni, le manifestava senza remore sapendo di camminare nel giusto, d’altronde la sua stessa scelta di farsi sacerdote era stata sofferta e meditata. Presa la decisione, aveva compreso che la sua era una missione, non un mestiere, una missione che avrebbe sconvolto per sempre la sua esistenza e che avrebbe avuto grande influenza su quella di molti altri. Il suo concetto di missione lo chiamò ad aiutare concretamente i terremotati dell’Irpinia, insieme ai suoi parrocchiani a cui insegnò in quel modo la carità attiva e dimostrò la gioia elargita dal soccorso al fratello sofferente. Fu un missionario nella sua prima parrocchia di San Giovanni Evangelista, nel quartiere Macchitella, dove si trovò ad amalgamare due realtà contrapposte: la miseria speranzosa dei gelesi con l’agiatezza, spesso presupponente, dei dipendenti settentrionali dell’ANIC. Riuscì a trasformare la malandata baracca che fungeva da chiesa in un tempio ispirato ai più moderni accorgimenti tecnici che divenne il cuore pulsante di un rione che rappresentava la trasformazione, forse troppo accelerata, di una città che abbandonava la sua tradizione agricola per tuffarsi nello sconosciuto mondo dell’industrializzazione. Giovane sacerdote comprese che l’apostolato fra i giovani deve essere coniugato con lo svago, lo sport, le attività teatrali e non scordò mai, operando fra i suoi giovani parrocchiani, di essere stato giovane anche lui, e giovane forse lo è rimasto fino a ieri, fino a quando la morte lo ha colto nel sonno, rivelandoci una particolare predilezione del Signore verso l’operaio della sua vigna. Della sua vita pastorale la cosa che mi ha colpito di più è stato, senz’altro, il suo rapporto con i giovani della Comunità Incontro da lui fondata a Gela insieme all’indimenticabile don Gelmini. La scelta di occuparsi di giovani smarriti nel mondo della tossicodipendenza non fu una scelta di facciata, una strategia mirata a conquistare una medaglia di merito agli occhi della collettività e dei suoi superiori, fu una scelta di cuore. Ciò che dico è provato dal rapporto che ha conservato fino alla morte con i giovani da lui condotti alla redenzione. Quando ho letto la corrispondenza intercorsa tra don Grazio e i “suoi” ragazzi, nel corso degli anni, ho potuto constatare che da quelle lettere traspare un amore sincero e reciproco, la gratitudine di chi è stato aiutato e la gioia di chi si è speso per aprire i cancelli della vita a chi a quella vita aveva rinunziato. Quelle lettere fanno luce sulla vera natura di un uomo che seppe usare l’autorevolezza e l’intelligenza per vivere la sua missione sacerdotale anche come missione sociale, che seppe vivere la carità in maniera completa trascinando i torpidi ad agire vivendo ogni giorno l’insegnamento evangelico. E’ facile parlar bene di una persona che se ne è andata, ma in questo caso penso sia doveroso tributare il giusto omaggio ad un uomo, ad un sacerdote, che ha lasciato dietro di sé un’impronta che non si cancellerà mai. Che fosse un uomo di fede e non solo un uomo di azione me lo ha confermato nell’ultima telefonata che gli ho fatto pochi giorni fa. Mi ha risposto con la sua solita voce possente e con la sua calorosa allegria, ma dalle sue parole ho intuito che sapeva dell’avvicinarsi della fine; mi ha sorpreso però la fiducia con cui si avvicinava al fatale incontro. Mi ha detto che era contento di affrontare le sue sofferenze con estrema serenità e questo mi ha confortato e mi ha confermato di aver conosciuto un uomo che era stato sempre sostenuto da una fede incrollabile. Oggi voglio salutarlo e ringraziarlo per avermi reso partecipe della sua vita, sia con la biografia scritta su di lui, sia con i contatti amichevoli e affettuosi che in questi pochi mesi si erano instaurati tra noi. Vai don Grazio , procedi nel cammino gioioso della Comunione Divina; dopo aver combattuto la buona battaglia che tu possa godere la quiete e la pace eterna. 

Testo scritto dalla Prof.ssa G. Portalone dell'Università di Palermo, autrice del libro su Mons. Grazio Alabiso.

 

 

 

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