Peste suina, federazione italiana associazioni diritti animali e ambiente: no agli abbattimenti, “inutili e potenzialmente dannosi”

Escludere gli abbattimenti di cinghiali, “in quanto inutili e potenzialmente dannosi”, dal pacchetto di misure per contrastare la diffusione della Peste suina africana (PSA). Lo chiede, con una PEC indirizzata a tutte le autorità competenti, la Federazione italiana associazioni diritti animali e ambiente, che riunisce oltre ottanta organizzazioni di protezione animale, tra cui le fondatrici Enpa, Lav, Leidaa, Lndc e Oipa.

Nella lettera le associazioni invitano a “tenere rigorosamente distinte” l’ordinaria gestione faunistica e la lotta alla PSA. “Quest’ultima – scrivono – non può diventare pretesto per aggredire con interventi spicci, inutili e scientificamente infondati il presunto problema della sovrappopolazione di cinghiali, che trae origine dalla cronica assenza di politiche di prevenzione (prima tra tutte la corretta gestione dei rifiuti).

Peraltro, com’è noto, l’utilizzo di metodi ecologici dovrebbe essere la norma”. L’idea di “integrare le misure già in essere con abbattimenti selettivi di cinghiali (femmine e piccoli) da effettuare in un certo raggio dalla cosiddetta zona rossa, al fine di impedire la diffusione della malattia “facendo il vuoto” intorno all’area infetta,” presenta “gravi criticità” e rischia di produrre l’effetto opposto a quello voluto. 

Innanzitutto “non è realistico” – con qualsiasi tipo di prelievo, anche selettivo – l’obiettivo di ridurre in breve tempo la densità degli animali fino al punto desiderato: “Le popolazioni animali hanno dinamiche complesse che renderebbero impossibile il raggiungimento della “densità zero”. L’infezione continuerà ad espandersi e potrebbe essere enormemente favorita da questo genere di intervento”.

E comunque, annota Ispra, “la densità del cinghiale non ha effetti significativi sulla persistenza in natura della PSA. La notevole resistenza del virus nell’ambiente fa sì che la malattia continui a circolare per anni, anche in popolazioni di cinghiale a densità bassissime”. 

In secondo luogo, “il disturbo arrecato ai cinghiali provocherebbe gli stessi effetti che si vogliono giustamente evitare vietando l’attività venatoria, il prelievo selettivo e altre attività umane nella zona rossa, com’è unanimemente raccomandato dalla letteratura scientifica”.

Come ricorda l’Ispra e ribadiscono le associazioni, “gli interventi di selezione condotti nella zona adiacente alla rossa causerebbero inevitabilmente mobilità e dispersione dei superstiti ancora infetti”: ecco perché, nelle esperienze “modello” di Belgio e Repubblica ceca e nel testo stesso dell’ordinanza commissariale, “presupposto ineludibile dell’intervento di selezione è la completa e efficace recinzione della zona rossa (il che, nel presente caso, non si dà)”.

Infine, “gli animali abbattuti durante il processo di selezione devono logicamente essere trattati come infetti. Si porrà dunque il problema di come smaltirne le carcasse, visto che nessun macello vorrà correre il rischio di contaminazione”.

Appaiono invece “decisivi” la tempestiva e capillare rimozione delle carcasse, la cui ricerca dovrebbe essere affidata a personale altamente qualificato (com’è avvenuto all’estero), e il puntuale monitoraggio delle aree interessate.

Il ricorso all’abbattimento, avvertono le associazioni, potrebbe avere “gravi conseguenze” sulla salute animale (accelerata diffusione della PSA invece di eradicazione) e sulle attività umane (che inevitabilmente subiranno limitazioni qualora risulti necessario estendere la zona rossa e la cosiddetta “zona di attenzione”.